Certe domande dei propri figli risvegliano ricordi e interrogativi.
“Ma per quanto ci lasciavi in terrazza?” può esordire una sera tranquilla uno dei pargoli e alle supermamme si apre un mondo. Si rammentano di cose che erano davvero nel dimenticatoio, di quando l’ultima spiaggia per ottenere qualcosa era mettere in terrazza (per qualche secondo) le proprie creature, con qualsiasi condizione atmosferica, “insensibili” di fronte alla disperazione vera o simulata di aquile indispettite e indisponenti. O di quando l’età dei capricci imperversava e bave, pianti, rotolamenti sul pavimento le faceva sentire impotenti e correvano a leggere Mastromarino, Asha Philips, Bollea e nonostante tutto si sentivano sbagliate, cattive e perse. O si rifugiavano nell’angolo più lontano della casa per non sentirle quelle urla e si tappavano le orecchie e rosicchiavano le unghie e si chiedevano cosa fosse più giusto. A volte esageravano, se ne accorgono ora, altre volte no. Esageravano, e se ne vergognano, quando pretendevano coerenza da bambinette di due tre anni, le consideravano grandi, capaci di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Esageravano quando proibivano loro di uscire a prendere il gelato se prima non avevano finito il formaggino o quando pretendevano scuse formali che nel loro cuore non servivano già più. Non esageravano nel sentirsi stanche, sole, provate da notti insonni, stravolgimenti di vite, desiderose di essere “brave” non sapendo che forse lo erano già.
Guardando indietro ad un tempo così lontano e così vicino sembra loro passata un’eternità e le supermamme si vedono goffe procedere a tentativi più o meno riusciti. Ora le loro creature sembrano serene e affatto traumatizzate da quei secondi in terrazza a urlare, ma qualcosa le turba, il pensiero di quali errori staranno commettendo adesso, ignare, e di quel che le farà sorridere o inorridire voltandosi indietro ad ora.
“Ma per quanto ci lasciavi in terrazza?” può esordire una sera tranquilla uno dei pargoli e alle supermamme si apre un mondo. Si rammentano di cose che erano davvero nel dimenticatoio, di quando l’ultima spiaggia per ottenere qualcosa era mettere in terrazza (per qualche secondo) le proprie creature, con qualsiasi condizione atmosferica, “insensibili” di fronte alla disperazione vera o simulata di aquile indispettite e indisponenti. O di quando l’età dei capricci imperversava e bave, pianti, rotolamenti sul pavimento le faceva sentire impotenti e correvano a leggere Mastromarino, Asha Philips, Bollea e nonostante tutto si sentivano sbagliate, cattive e perse. O si rifugiavano nell’angolo più lontano della casa per non sentirle quelle urla e si tappavano le orecchie e rosicchiavano le unghie e si chiedevano cosa fosse più giusto. A volte esageravano, se ne accorgono ora, altre volte no. Esageravano, e se ne vergognano, quando pretendevano coerenza da bambinette di due tre anni, le consideravano grandi, capaci di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Esageravano quando proibivano loro di uscire a prendere il gelato se prima non avevano finito il formaggino o quando pretendevano scuse formali che nel loro cuore non servivano già più. Non esageravano nel sentirsi stanche, sole, provate da notti insonni, stravolgimenti di vite, desiderose di essere “brave” non sapendo che forse lo erano già.
Guardando indietro ad un tempo così lontano e così vicino sembra loro passata un’eternità e le supermamme si vedono goffe procedere a tentativi più o meno riusciti. Ora le loro creature sembrano serene e affatto traumatizzate da quei secondi in terrazza a urlare, ma qualcosa le turba, il pensiero di quali errori staranno commettendo adesso, ignare, e di quel che le farà sorridere o inorridire voltandosi indietro ad ora.
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