Non dovevano superare le 500 battute, non dovevano far altro che parlare di sé e della loro visione delle cose, non dovevano che spedire con raccomandata il loro racconto, non era niente altro che un racconto scritto tempo prima in un pomeriggio d'estate al mare come esigenza profonda e voglia di tirare fuori...
Ma siccome lo spirito è quello di condividere per non sentirsi troppo sole, eccolo qua, quel racconto, che se non altro ha regalato alla loro famiglia un viaggio in freccia argento per Firenze, una mattinata di "diabete a colori" e condivisione e un pomeriggio per le vie antiche e sempre nuove della repubblica de' Medici, con un po' di soddisfazione per quella "menzione speciale" che non hanno ancora capito se sia un premio di consolazione di cui essere contente o il segno della mediocrità....
Non da sole
“Ma chi mai sente la necessità di andare in un centro commerciale la domenica pomeriggio?” – si era detta chissà quante volte guardando i mega parcheggi invasi dalle auto.
Eppure in quel pomeriggio infuocato di luglio con il volante bollente tra le mani, era quella la sua destinazione: un centro commerciale a pochi chilometri dalla sua città, già pieno di gente e negozi e saldi.
In effetti dentro non c’era né più né meno che il solito via vai: gente qualsiasi, massa informe, se la guardi da lontano, tutta insieme; persone con le loro storie e le loro vite se le guardi negli occhi. E poi lì dentro c’era fresco, e si stava bene, ecco perché l’avevano scelto.
Così si ritrovarono nella confusione, assieme all’infermiera che ha appena staccato e va in cerca di un costume per le imminenti vacanze, alla coppietta poco più che adolescente, a chi deve fare un regalo all’ultimo, alla famigliola già col carrello colmo,… si ritrovarono davanti a un caffè cremoso e fresco.
Due donne sorridenti, normali, dolci, davanti ad un caffè mentre il resto delle loro famiglie sonnecchiava nel dopopranzo tra cicale e rombi di gran premio: questo sembravano a prima vista.
Due mamme, due donne rese complici e amiche dalla stessa ferita: ecco come si sentivano dentro; e come sono in fondo. Stanno ancora aspettando che si cicatrizzi quella ferita e intanto si aiutano a lenire quello strano dolore che a volte sordo a volte acuto si ripresenta come sottofondo delle loro esistenze: da poco entrambe hanno scoperto che uno dei loro figli è affetto da diabete e questo le unisce e le ha spinte lì, quel giorno.
Così si raccontano, e parlano, e parlano, e sorseggiano, e condividono e a volte viene un po’ da piangere e a volte ridono. Si sono trovate per caso legate da questa che nessuna delle due vuole chiamare malattia, si sono sentite simili, annusandosi: entrambe non avrebbero mai voluto, entrambe lo prenderebbero su di sé, il diabete; entrambe si sono sentite perse. Ora va meglio, si stanno abituando, ma a volte è dura; a volte non ne possono più di contare grammi, etti, segnare valori alti, bassi, giusti, di pensare e pensare a cosa fare da mangiare, a cosa dire per incoraggiare, a cosa non dire per non ferire, a cosa sperare, per non illudersi. Scoprono quanto simili siano, e anche tra le vetrine non hanno poi voglia di niente più che sentire che qualcuno può capirle: e se lo dicono, della fortuna che hanno avuto nel trovarsi e riconoscersi. Così sembra un po’ più facile.
E lasciandosi, tra mille promesse e propositi, con la sensazione di essere state bene assieme, salgono su quelle auto roventi e sono lo specchio della vita nella sua essenza, che non capiscono ancora fino in fondo, in quel misto tragico di amore e dolore, ma che afferrano con tutta la forza che hanno, non da sole.
Ma siccome lo spirito è quello di condividere per non sentirsi troppo sole, eccolo qua, quel racconto, che se non altro ha regalato alla loro famiglia un viaggio in freccia argento per Firenze, una mattinata di "diabete a colori" e condivisione e un pomeriggio per le vie antiche e sempre nuove della repubblica de' Medici, con un po' di soddisfazione per quella "menzione speciale" che non hanno ancora capito se sia un premio di consolazione di cui essere contente o il segno della mediocrità....
Non da sole
“Ma chi mai sente la necessità di andare in un centro commerciale la domenica pomeriggio?” – si era detta chissà quante volte guardando i mega parcheggi invasi dalle auto.
Eppure in quel pomeriggio infuocato di luglio con il volante bollente tra le mani, era quella la sua destinazione: un centro commerciale a pochi chilometri dalla sua città, già pieno di gente e negozi e saldi.
In effetti dentro non c’era né più né meno che il solito via vai: gente qualsiasi, massa informe, se la guardi da lontano, tutta insieme; persone con le loro storie e le loro vite se le guardi negli occhi. E poi lì dentro c’era fresco, e si stava bene, ecco perché l’avevano scelto.
Così si ritrovarono nella confusione, assieme all’infermiera che ha appena staccato e va in cerca di un costume per le imminenti vacanze, alla coppietta poco più che adolescente, a chi deve fare un regalo all’ultimo, alla famigliola già col carrello colmo,… si ritrovarono davanti a un caffè cremoso e fresco.
Due donne sorridenti, normali, dolci, davanti ad un caffè mentre il resto delle loro famiglie sonnecchiava nel dopopranzo tra cicale e rombi di gran premio: questo sembravano a prima vista.
Due mamme, due donne rese complici e amiche dalla stessa ferita: ecco come si sentivano dentro; e come sono in fondo. Stanno ancora aspettando che si cicatrizzi quella ferita e intanto si aiutano a lenire quello strano dolore che a volte sordo a volte acuto si ripresenta come sottofondo delle loro esistenze: da poco entrambe hanno scoperto che uno dei loro figli è affetto da diabete e questo le unisce e le ha spinte lì, quel giorno.
Così si raccontano, e parlano, e parlano, e sorseggiano, e condividono e a volte viene un po’ da piangere e a volte ridono. Si sono trovate per caso legate da questa che nessuna delle due vuole chiamare malattia, si sono sentite simili, annusandosi: entrambe non avrebbero mai voluto, entrambe lo prenderebbero su di sé, il diabete; entrambe si sono sentite perse. Ora va meglio, si stanno abituando, ma a volte è dura; a volte non ne possono più di contare grammi, etti, segnare valori alti, bassi, giusti, di pensare e pensare a cosa fare da mangiare, a cosa dire per incoraggiare, a cosa non dire per non ferire, a cosa sperare, per non illudersi. Scoprono quanto simili siano, e anche tra le vetrine non hanno poi voglia di niente più che sentire che qualcuno può capirle: e se lo dicono, della fortuna che hanno avuto nel trovarsi e riconoscersi. Così sembra un po’ più facile.
E lasciandosi, tra mille promesse e propositi, con la sensazione di essere state bene assieme, salgono su quelle auto roventi e sono lo specchio della vita nella sua essenza, che non capiscono ancora fino in fondo, in quel misto tragico di amore e dolore, ma che afferrano con tutta la forza che hanno, non da sole.
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